Tutto in una piattaforma
11 Novembre 2019
Tony Cabot, country manager di Victor insurance, racconta come l’agenzia di sottoscrizione ha digitalizzato quotazioni dei rischi, pagamenti dei premi e liquidazioni
Automatizzare e velocizzare le procedure di quotazione del rischio, offrendo ad agenti e broker un’operatività dematerializzata. E’ questo uno degli obiettivi di Victor Insurance, agenzia di sottoscrizione assicurativa americana dedicata alla clientela aziende.
Una società che – sbarcata in Europa (precisamente a Rotterdam) nel 2011 con il nome di The Schinnerer Group – ha aperto una filiale a Milano nel 2016, con il brand della controllata olandese Mees & Zoonen. Per poi cambiare denominazione (in tutto il mondo) meno di un anno dopo, sostituendo al cognome del fondatore, che nel 1938 aveva creato l’agenzia (Schinnerer, appunto), il suo nome (Victor).
Ma che cosa fa, più in particolare, questa agenzia di sottoscrizione? E come utilizza il digitale? “Ingegnerizziamo il prodotto che ci viene affidato dagli assicuratori di cui assumiamo i rischi”, risponde il suo country manager Tony Cabot – più di 40 anni nel settore assicurativo – a Tab Magazine. “E lo facciamo digitale, attraverso la nostra piattaforma. Che per noi è il cuore dell’agenzia. Gli intermediari che lavorano con noi – soprattutto broker, ma anche agenti – quotano e gestiscono le coperture, i pagamenti dei premi, le liquidazioni e il resto dei documenti da computer, tablet o smartphone. Sempre tramite i loro dispositivi hanno a disposizione il ventaglio di soluzioni che offriamo e le notizie sui rischi sottoscritti, dall’analisi al reporting. Abbiamo iniziato a sviluppare la nostra strategia digitale 20 anni fa negli Stati Uniti – pur, ovviamente, con mezzi differenti da oggi. Mentre in Europa la piattaforma on line è disponibile dal 2014. Prima per i nostri partner olandesi, poi – man mano che ci siamo espansi – anche per gli altri mercati in cui operiamo”.
Domanda. Qual è lo scopo della vostra piattaforma?
Cabot. Il suo obiettivo è dare più efficienza ai sistemi di valutazione dei rischi, al calcolo del premio e via dicendo. Questo perché il processo di quotazione, anche standardizzato, è lungo. Infatti, dal primo approccio con l’assicurato al momento in cui la polizza è pronta, ci vogliono circa 15 passaggi. Molto tempo. Troppo. Perché bisogna parlare con il cliente, aspettare che tutte compagnie rispondano, ricontattare il potenziale assicurato, che pone alcune domande. E poi ancora tornare alla compagnia per ricevere le risposte, riportarle al cliente, e via dicendo. Se tutto va a buon fine, la polizza è pronta dopo un lungo iter. Ecco nella nostra visione, il percorso di sottoscrizione si può accorciare, fino a tre passaggi, da completare in una seduta. Quando il cliente chiede all’intermediario la quotazione, deve ricevere risposte in tempo quasi reale. Se le cose vanno bene, l’assicurato acquista la polizza. C’è poi un secondo utilizzo del digitale…
Domanda. Qual è?
Cabot. E’ quello che chiamiamo “approccio portafoglio”, in cui si prendono tutti i dati degli utenti per portarli poi in massa sulla piattaforma; la nostra società propone poi un servizio di controllo, normalizzazione dei dati ed emissione delle polizze standardizzate, con relativa amministrazione e gestione.
Domanda. In che modo lavorate per ridurre i “passaggi” dal primo approccio con il cliente alla sottoscrizione della polizza?
Cabot. Di solito, il nostro intermediario va a trovare il potenziale assicurato e, in sua presenza, si connette alla piattaforma. E questo è il primo passaggio. Trova circa sei domande standard, a cui risponde in accordo con il cliente, comunicandole in tempo reale alla piattaforma o, se necessario, ai nostri sottoscrittori. E’ il secondo passaggio. Infine, gli algoritmi formulano le proposte. A meno che qualche risposta richieda un’analisi piu approfondita: in questo caso, i nostri sottoscrittori ricevono un messaggio automatico dal sistema che li invita a intervenire in merito. Terzo passaggio. All’assicurato resta da accettare e sottoscrivere il contratto, o rifiutarlo. Oppure, ancora, farsi inviare la proposta in Pdf, se vuole pensarci su o se preferisce un”operatività tradizionale.
Domanda. Ha parlato di “visita” dell’intermediario al cliente. E’ anche prevista la possibilità di un contatto da remoto fra intermediario e cliente?
Cabot. No. Abbracciare un modello digitale non significa che si possa fare tutto on line. C’è anche uno spazio per il contatto umano. E noi vogliamo che il broker, o l’agente, e il cliente si parlino: siamo sicuri che ritagliarsi il tempo per una chiacchierata risolva tanti problemi a monte.
Domanda. A proposito, chi è il vostro cliente tipo?
Cabot. Oggi assicuriamo aziende, con un fatturato da 25 milioni di euro in giù. Che rappresentano, più o meno, il 95% del Pil italiano.
Domanda. Ci ha detto che utilizzate la piattaforma anche per analizzare e censire i rischi. Dove acquisite i dati utili?
Cabot. Utilizziamo informazioni pubbliche, da cui riusciamo a trarre più o meno il 50% del profilo del cliente. Un’altra parte ci è data dalle domande poste all’assicurato e il 20% viene dalle intuizioni dei nostri assuntori e da dati economici di settore. Questa è un’attività più agile rispetto alle solite pagine di questionario (lavoro che agli intermediari porta via tanto tempo) e che restituisce dati solitamente molto aggiornati. L’operazione è effettuata con intelligenza artificiale e machine learning: bisogna certo stare attenti e seguire la procedura, ma oggi queste tecnologie permettono di creare una fotografia accurata dell’azienda e dei suoi rischi. Infatti, noi, come il resto del settore, stiamo cercando di andare oltre, con un esperimento: chiedere solo la partita iva dell’imprenditore, da cui – naturalmente con il consenso del cliente – ricostruire tutto.
Domanda. A proposito, in che rami siete attivi?
Cabot. Lavoriamo prima di tutto nell’ambito delle collettive infortuni e spese mediche per i dipendenti dell’azienda. Un comparto che abbiamo scelto perché osserviamo che il Servizio sanitario nazionale si sta appiattendo. E che le aziende stanno cercando prodotti specifici per il loro personale. Operiamo anche nella Rc professionale e nell’assicurazione opere d’arte. Stiamo poi predisponendo un’offerta cyber risk e nella Rc medica per le strutture sanitarie private.
Domanda. Un business, quest’ultimo, abbandonato da molti, ma presenziato da pochi specialisti. Non temete di entrare in un campo minato?
Cabot. Prima che esistessero le tecnologie attuali, probabilmente qualche timore l’avremmo anche avuto. Oggi no. Perché ora, aprendo molti canali distributivi e partnership anche con collegamenti tipo Api (sempre con tutte le cautele specificate da Gdpr, Idd e via dicendo) è possibile creare veri e propri ecosistemi di risk management e assicurazione. E, in alcuni casi – insieme alle nostre mandanti – anche lavorare per elaborare prodotti più completi a prezzo più basso. E questo lo si fa scambiandosi dati, trasferendoli alle persone giuste, mettendosi insieme e cercando di identificare quello che ciascuno fa meglio.
Domanda. E’ un po’ il tentativo di fare proprio il motto “cooperazione, non competizione”?
Cabot. Io la chiamerei con il neologismo coopetizione.
Domanda. Ci riproviamo: è una sorta di open insurance?
Cabot. Sì, esattamente: si crea un ecosistema e si conosce sempre chi fa cosa, quale anello della catena è coinvolto. Meglio fare così che ingaggiare battaglie, anche perché la collaborazione fa guadagnare tutti, specialmente il cliente. Mentre la concorrenza spietata assorbe risorse per niente.
Domanda. Pensa anche, un giorno, di collaborare anche con intermediari specializzati nella instant insurance?
Cabot. Perché no? Tra i millennials che, per esempio, ora acquistano una copertura di 24 ore per il fine settimana sugli sci, ci saranno vari proprietari di aziende di domani. E magari organizzeranno la settimana bianca per i dipendenti, offrendo loro una collettiva infortuni. Ormai non c’è più nessuno senza smartphone: il segreto è sempre più intercettarli dove sono loro, non dove siamo noi.
Maurizio Giuseppe Montagna