Dopo-Covid: dal “remote” allo “smart working”?
17 Settembre 2020
La maggior parte delle aziende punta ancora sul lavoro tra le mura domestiche. Mentre già si pensa a come organizzare il mix casa-ufficio di domani
Secondo una stima di DayBreakHotels, portale per la prenotazione di spazi diurni business e leisure negli alberghi, il 30% dei lavoratori in remote working sarà rientrato in ufficio prima di fine settembre. Quasi 2 milioni di persone, costretti a tornare non sempre per reale necessità. Questi numeri – se confermati – farebbero davvero tremare i polsi, dato che il virus è ancora in circolazione e, anzi, il numero dei contagiati sta purtroppo tornando a salire.
Insomma, una decisione che fa paura (come afferma l’Osservatorio Nomisma diffuso a inizio settembre) e desta molte perplessità, considerato che, dal primo caso scoperto a Codogno in poi, il remote working ha dimostrato in molti casi di saper sopperire benissimo all’impossibilità di lavorare in ufficio. Tanto da spingere molte aziende a proseguire la “modalità di emergenza” fino alla sconfitta del Covid, magari utilizzando gli uffici solo quando serve davvero. E soprattutto su base volontaria.
Avanti tutta
A scegliere una strategia simile è stata, per esempio, Assimoco, che già il fine settimana successivo all’inizio dell’emergenza ha contattato i suoi dipendenti, comunicando loro l’inizio del lavoro da remoto dal lunedì seguente, il 24 febbraio. E che il 15 settembre 2020 ha deciso di prolungare questa strada, mai abbandonata, fino al 31 dicembre.
L’assicurazione delle cooperative ha anche predisposto un piano di rientro, riservato a un numero massimo di 70 lavoratori (con un massimo di 170 persone a fine anno, trend dei contagi permettendo) per le situazioni in cui i dipendenti dichiarano di aver necessità di recarsi in ufficio.
Punti cardine della strategia, la volontarietà e il numero chiuso in ogni dipartimento (“le autorizzazioni agli accessi saranno strutturate in modo da garantire un equo criterio di distribuzione e proporzionalità tra le diverse aree di governo grazie anche a uno strumento informatico che potrà supportare la prenotazione per l’ingresso e l’assegnazione della scrivania”, recita una nota dell’assicurazione). Della serie: se vuoi andare in ufficio devi sceglierlo tu, e chiedere l’autorizzazione per farlo. E non è detto che ti sia concessa.
In altri termini, nessuno sarà costretto a tornare. Una decisione che, a quanto afferma la compagnia, piacerà sicuramente ai dipendenti, dato che secondo un sondaggio interno, “il 100% ha affermato di essere riuscito a svolgere le proprie attività lavorative, anche attraverso nuove modalità e processi”, recita una nota.
Una percentuale bulgara da cui non si discostano di molto i dati di un sondaggio di McKinsey, che stima nell’80% la percentuale dei dipendenti che ha dichiarato di apprezzare il lavoro da casa (il 41% ha invece sostenuto che, tra le mura domestiche, è aumentata la produttività). Mentre alcuni lavoratori – come ha rivelato un’inchiesta nel numero in edicola di Famiglia Cristiana – hanno sottolineato che il lavoro da casa fa bene alla famiglia, conciliando meglio le esigenze dei due ambiti e incastrando in maniera più armonica gli impegni. Soprattutto quando mamma e papà hanno uno o due figli.
Dopo il Covid: da remote a smart
La guerra contro il virus impone dunque di proseguire il più possibile su questa via. Una strada, come detto, obbligata – che però ha anche i suoi risvolti negativi. E non è esente da pericoli. Come i rischi per la sicurezza informatica, evidenziati lo scorso aprile da Allianz Global Corporate & Specialty e confermati oggi da una nota diffusa da Dynabook, dedicata in modo più specifico al settore finanziario. “In un ambiente altamente regolamentato come la finanza e considerando l’alto valore dei dati che vengono gestiti e scambiati, i criminali informatici trovano nel settore una vera miniera d’oro”, si legge nel comunicato dell’azienda del gruppo Sharp specializzata in computer portatili aziendali, soluzioni It business e accessori per la realtà assistita: “banche e aziende finanziarie si trovano quindi a dover respingere attacchi di phishing, app fake, trojan e ransomware, che hanno registrato un picco del 38% nei mesi della quarantena, tra febbraio e marzo”.
Altro punto critico è il venir meno dei rapporti umani e sociali con i colleghi, di cui le sessioni on line sono poco più che un surrogato. Per non parlare del rischio di “iperlavoro” (perdere i confini tra casa e ufficio può allungare l’orario, oltre che confondere l’ambito domestico con quello professionale) e dei pericoli per le tutele sindacali.
Anche per questo, se in epoca di Covid non si può abbassare la guardia, non appena questo incubo sarà finito occorrerà passare dall’attuale remote allo smart working vero e proprio, un mix fra casa e ufficio modellato sulle reali esigenze dell’azienda e sulle necessità dei lavoratori.
In medio stat virtus, dunque: nel post-Covid sarà impensabile sia riproporre il lavoro d’ufficio tout court come se nulla fosse accaduto (non per niente, secondo Famiglia Cristiana, il 93% non vuole tornare al modo tradizionale di lavoro), sia proseguire sempre e solo a domicilio. Il che non sarebbe auspicabile, soprattutto per alcune attività. “Ci sono settori che lavorano molto bene da casa, per esempio tutto l’It e le figure dedicate alla programmazione”, ha detto Christian Miccoli, ceo di Conio. “Ma altri tipi di professioni, per esempio le figure creative e il marketing, hanno bisogno del confronto, di un ambiente che favorisca lo scambio di opinioni e di un modo di lavorare non troppo pianificato, che permetta anche l’incontro casuale”.
Quando il Covid-19 si fermerà, dunque, non potremo più fare a meno del lavoro da casa, ma con juicio, per parafrasare il Manzoni. Con nuovi metodi di lavoro, restyling degli spazi, un’organizzazione delle aziende trasformata in modo radicale, last but not least, una gestione più funzionale e moderna delle risorse umane.
Ambrogio Losa
Foto di Vlada Karpovich da Pexels